Figlia d'anima




“Otto anni erano pochi per comprendere tutto, ma potevano bastare per intuire che qualcosa da comprendere c’era”Maria - nel romanzo Accabadora - ha sei anni quando, nella Sardegna dei primi anni Cinquanta, diviene ‘figlia d’anima’ di Bonaria Urrai. Maria sarà quindi una bambina nata due volte: due volte generata, la prima nel corpo e la seconda nella coscienza di sé. Due sono infatti le donne che condividono il secondo travaglio: una madre che è già appagata da tre figlie più grandi e che improvvisamente rimane vedova, vedendo volgere la sua povertà in miseria, e una donna cui la sorte e la battaglia sul Piave nel 1917 hanno negato un marito e dei figli. Nella luce violenta del sole di luglio, Maria lascia l’ombra della madre naturale senza grandi indugi, come tutti i bambini abituati fin dalla nascita a ubbidire agli adulti, e prende a seguire la lunga sottana nera di Tzia Bonaria. Iniziando a capire come muoversi all’interno dello strano sodalizio – tra una madre che non è mai stata madre e una figlia che crede di aver cessato di essere figlia – la bambina farà presto la scoperta di essere, per la prima volta della sua vita, ‘qualcuno’, ‘figlia’ per qualcuno. “Tu dalle guerre devi tornare, figlia mia” le dirà un giorno la donna che l’ha presa con sé, salvando Maria dal rischio di crescere senza scoprire chi stesse diventando o volesse diventare. Perché tale è la sfida di chi si prende la responsabilità di educare qualcuno, di chi sceglie di esporsi al suo sguardo ingenuo, innamorato ma acutissimo, di chi sa che il dolore più grande di un genitore è la consapevolezza che giungerà il momento nel quale sarà opportuno e soprattutto inevitabile ritrarsi dalla vita del figlio. Michela Murgia ci sussurra – trascinandoci in una prosa lieve e ironica ma densa di storia e cultura linguistica – come colui o colei che sceglie la responsabilità dell’educare mai potrà né vorrà evitare che il figlio combatta le sue guerre quotidiane. Bonaria Urrai è una madre ‘vera’ (anche se non ‘naturale’) perché sa che la cosa più saggia sarà lasciare Maria da sola a combattere le sue battaglie, consegnandole tuttavia la certezza che vi sarà sempre qualcuno ad aspettarla, in ognuno dei suoi ritorni.

Come in ogni crescita, come in ogni vita, vi è un evento che sancisce per Maria il ‘prima’ e il ‘dopo’, e che l’aiuta a chiudere il cerchio della comprensione avviato in quella lontana giornata di luglio. Il ‘prima’ saranno allora i tredici anni trascorsi con la donna che per lei sarà stata madre sopra tutte, ma – proprio per la medesima ragione – il ‘dopo’ inizierà con la scelta di rinnegarla e lasciarla. Il punto dal quale non si torna sarà l’avere scoperto che il Destino che si è scelto Bonaria è quello di accompagnare alla morte chi non ha più che un’ultima forza, quella di chiedere che il momento estremo di una vita non sia vissuto nella solitudine. Bonaria è una ‘accabadora’, è colei che accompagna. E che finisce. Il giorno – o meglio, la notte – in cui si compie il destino del rapporto tra le due donne è infatti l’unico momento in cui Bonaria non è stata in grado di distinguere tra pietà e delitto. Maria imparerà a ‘stare al mondo’ proprio perché ha incontrato un adulto vero: una persona che ha visto agire nel dolore delle proprie scelte e nella disperazione dei propri errori. A Maria, Bonaria ha quindi insegnato – con le sue azioni – la necessità di giudicare gli eventi che accadono senza fuggire da essi. Perché soltanto chi ha raggiunto una simile coscienza di sé sarà poi in grado, se necessario, di perdonare. Come farà Maria, che – come ogni figlio che sia stato ‘educato’, cioè accompagnato alla vita – si rivelerà anche capace di tornare, dopo avere rinnegato e lasciato.


(from ricette.donnamoderna.com)


Sebadas


170g di farina di grano duro
1 uovo
10g di burro
300g di pecorino sardo fresco
1 limone
1 arancia
100g di miele di corbezzolo
olio di oliva per friggere



Preparazione.

Setacciare la farina sulla spianatoia e formare la fontana; unire un pizzico di sale e, al centro, sgusciare l’uovo. Aggiungere il burro a temperatura ambiente e tagliato a pezzetti, quindi impastare fino ad ottenere una pasta liscia e soda. Raccoglierla formando una palla, coprirla con un canovaccio e farla riposare in un luogo fresco per 30 minuti.

Intanto grattuggiare il pecorino e unirlo alle bucce finemente tritate degli agrumi.

Stendere la pasta in una sfoglia sottile e ricavarne dei dischi del diametro di circa 8 cm. Stendere su metà di questi il composto di formaggio, coprirli con gli altri dischi di pasta e premere bene i bordi per sigillarli.

Fare scaldare l’olio e, quando sarà molto caldo, friggervi le sebadas, lasciandole dorare da entrambi i lati. Scolarle su carta assorbente e tenerle al caldo.
Scaldare il miele a bagnomaria, versarlo sulle sebadas ancora calde e servirle immediatamente.



(“La grande cucina regionale - Sardegna”, Corriere della Sera)